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Villa Romana del Casale

La scoperta della Villa Romana, situata in localita Casale a Piazza Armerina, costituisce la più importante scoperta archeologica degli ultimi anni.
Il suo immenso valore di documento di storia dell’arte è dovuto principalmente agli oltre 40 pavimenti a mosaico policromo, disposti su una superficie di oltre 3.500 mq., che rappresentano un complesso quale non si trova in nessun altro centro archeologico del mondo romano per numero e grandezza di pavimenti, per importanza di rappresentazioni, per elevatezza di valore artistico.
La struttura romana, di epoca tardo imperiale, per la sua eccezionale ricchezza di elementi architettonici e decorativi, è divenuta oggetto di particolare rilievo all’interno del programma di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio della regione siciliana, la cui gestione è oggi affidata al Parco Archeologico della Villa Romana del Casale e delle aree archeologiche di Piazza Armerina e dei Comuni limitrofi, Istituto dell’Amministrazione Regionale dei Beni Culturali.

La Villa, tutelata dall’Unesco dal 1997, è appartenuta ad un esponente dell’aristocrazia senatoria romana, forse un governatore di Roma (Praefectus Urbi); secondo alcuni studiosi fu, invece, costruita e ampliata su diretta committenza imperiale. La maestosità e lo sfarzo decorativo della abitazione fecero pensare subito ad un proprietario di eccezionale rilievo e questo problema ha finito per appassionare illustri studiosi, fino al punto da assorbire quello, scientificamente più importante, della datazione.
Considerato che le uniche costruzioni di tale imponenza che si conoscessero al momento della scoperta appartenevano ad imperatori (palazzo di Diocleziano a Spalato, Villa Adriana di Tivoli, ecc.), si pensò subito ad una villa imperiale, e fu L’Orange, seguito immediatamente dal Gentili, a proporre il nome di Massimiano Erculeo, collega di Diocleziano nella direzione tetrarchia dell’impero con il compito di amministrare l’Italia; è lui che avrebbe costruito la villa dopo il 293 e vi si sarebbe stabilito dopo il 305, quando Diocleziano lo costrinse ad abdicare, fino a quando non tentò di riprendere l’impero.
Per la sua bellezza e complessità, può considerarsi uno degli esempi più significativi di dimora di rappresentanza rispetto ad altri coevi dell’Occidente romano. L’alto profilo del suo committente viene celebrato, in modo eloquente, attraverso un programma iconografico, stilisticamente influenzato dalla cultura africana, che si dispiega, con ricchezza compositiva, in una moltitudine di ambienti a carattere pubblico e privato.

Fin al principio del secolo scorso dell’esistenza della villa parlavano soltanto gli imponenti ruderi affioranti e le memorie locali. Dopo un primo sondaggio di Sabatino del Muto (1812) ed un secondo dell’ing. L. Pappalardo (1881), una prima campagna di scavi fu condotta nel 1929 da Paolo Orsi, che scoprì il primo mosaico (le fatiche di Ercole), e una seconda, condotta a varie riprese dal 1935 al 1939 da Giuseppe Cultrera, sotto l’alto patrocinio di Biagio Pace, mise in luce tutto il triclinio con l’antistante portico ellittico. Ma soltanto nell’ultimo dopoguerra (1950-54), sotto la direzione di Gino Vinicio Gentili e con i fondi della regione Siciliana prima e della Cassa del Mezzogiorno dopo, fu iniziata una campagna di scavo che ha portato alla luce tutta la parte nobile di una grandiosa villa romana d’età imperiale con i suoi meravigliosi pavimenti a mosaico, che costituiscono un monumento d’arte unico al mondo.
Negli anni 70 si è dovuto provvedere al restauro e alla protezione dei mosaici scoperti dai pericoli di sgretolamento, realizzando l’originale sistema di copertura progettato dall’arch. Franco Minissi, ma lo scavo non può dirsi completato, perché restano da scoprire le dipendenze della villa che sono sepolte ancora nei dintorni. Negli ultimi anni è in corso, a cura della missione di scavo dell’Università La Sapienza di Roma diretta dal prof. Patrizio Pensabene, una campagna di scavo nella zona sud, che ha messo in luce un antico abitato d’epoca medioevale.